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Alexander Langer, 30 anni senza l’uomo che ha sfidato il mondo: “Continuate in ciò che era giusto”

Alexander Langer, 30 anni senza l’uomo che ha sfidato il mondo: “Continuate in ciò che era giusto”

Una vita in lotta

Attivista, politico, pioniere delle battaglie ambientaliste, moriva suicida il 3 luglio del 1995. Viaggiatore leggero e instancabile, era abituato a esplorare i confini saltando muri. Alla riflessione teorica preferiva gli incontri, all’ideologia il calore delle relazioni umane.

Alexander Langer, 30 anni senza l’uomo che ha sfidato il mondo: “Continuate in ciò che era giusto”

1. Bisaccia di cuoio a tracolla, smilzo e allampanato, folti capelli castani, naso pronunciato, occhi come fanali per via delle lenti da miope e i grandi occhiali da secchione, sorriso sincero, postura leggera, voce mite e fraterna. Già «a prima vista simpaticamente strano» (Adriano Sofri): così appariva Alexander Langer ai tantissimi che l’hanno incontrato nel suo infinito peregrinare. Langer è stato tante cose nella sua pur breve vita, iniziata a Vipiteno il 22 febbraio 1946 e interrotta a soli 49 anni, la sera del 3 luglio 1995, con la scelta di impiccarsi a un albicocco, in un campo nei pressi della sua casa toscana, a San Miniato. La si può riassumere, quella vita, ricorrendo all’allegoria dei quattro elementi naturali: terra, aria, acqua, fuoco. E non solo perché scandivano gli annuali appuntamenti a Città di Castello, dedicati a esperienze e progetti di conversione ecologica, promossi dalla Fiera delle Utopie Concrete (una delle innumerevoli iniziative realizzate da Langer). Ciascuno di essi, infatti, evoca parti importanti della sua biografia.

2. La terra, intesa come Heimat, è per Langer il Sudtirolo con cui manterrà un ininterrotto legame. Con il nodo dell’autonomia della sua terra d’origine, si misurerà durante tutta la vita: nel 1968 si laurea a pieni voti in Giurisprudenza, a Firenze, sotto la guida di Paolo Barile con una tesi sull’autonomia provinciale di Bolzano nel quadro dell’autonomia regionale nel Trentino-Alto Adige; per tre volte (nel 1978, 1983, 1988) sarà consigliere a Bolzano; si candiderà (nel 1995) a sindaco della città. È qui che Langer matura una sensibilità tutta particolare per le minoranze: etniche, religiose, linguistiche. Ed è sempre qui che elabora un metodo di azione politica – riassunto in un testo del 1994 titolato «Tentativo di decalogo per la convivenza interetnica» – cui attingerà nelle situazioni di conflitto affrontate in vita. La sua è una prassi semplice, ma potentemente generatrice: costituire nuclei di persone provenienti da gruppi etnici contrapposti, disposte ad approfondire la conoscenza reciproca, senza temere l’infamante accusa di tradimento, perché «chi usa tale appellativo probabilmente non si è mai sforzato di raggiungere una vera convivenza».

3. L’aria, invece, evoca il viaggiare. La sua, infatti, è stata una vita in perenne movimento, preferibilmente in treno, in macchina o in autostop. La biografia che gli ha dedicato Fabio Levi (In viaggio con Alex. La vita e gli incontri di Alexander Langer, Feltrinelli, 2007) è scandita nelle tante città in cui ha operato: Vipiteno, Bolzano, Firenze, Praga, Tubinga, Saluzzo, Francoforte, Roma, Manaus, Berlino, Rio de Janeiro, Mosca, Bruxelles, Strasburgo, Tirana, Verona, Gerusalemme, Tblisi, Pristina, Sarajevo, Tuzla. Concepiva gli incontri come risorsa straordinaria, fonte di ispirazione, occasione di scambio. Ritornava sempre carico di indirizzi nuovi e di persone di cui prendersi cura. Non un turista, dunque, semmai un esploratore di frontiere, abituato a saltare i muri: si intitola, infatti, Il viaggiatore leggero (Sellerio, 2015) la preziosa raccolta dei suoi scritti, curata da Edi Rabini e Adriano Sofri. Sono scritti in viaggio: in treno soprattutto, anche di notte, rubando tempo al tempo. Sono scritti di viaggio: resoconti, interventi, valutazioni a bilancio. Riflessioni di grande pregio, affidate a fogli spesso di scarsissima diffusione, se non a cartoline d’antan spedite a tutti da ogni dove, dispersi così «in mille rivoli non sempre tra di loro comunicanti» (annota Marco Boato in Alexander Langer. Costruttore di ponti, editrice La Scuola, 2015). Alla riflessione teorica, infatti, Langer preferiva di gran lunga le riunioni di base dentro e fuori i confini nazionali, dove l’ideologia lascia il posto alla concretezza dei problemi e al calore delle relazioni umane.

4. L’elemento dell’acqua evoca il tema – esistenziale per Langer – della tutela dell’ambiente. È tra i primi a cogliere il nesso tra remissione del debito, dissesto ecologico e sviluppo della democrazia. È anche tra i primi a iscrivere le tematiche ecologiche in un orizzonte massimamente inclusivo: tutti gli esseri viventi (animali compresi), le generazioni future, gli esclusi dei paesi più poveri. Soprattutto, Langer coniuga la dimensione planetaria della difesa della biosfera con l’invito alla responsabilità individuale, all’insegna di una necessaria «conversione ecologica»: scelta che compare nel suo personalissimo «Catalogo di virtù verdi» (insieme alla «consapevolezza del limite», l’«obiezione di coscienza» e il «privilegiare il valore d’uso al valore di scambio»). Vanno ascritte a questo capitolo le lotte di Langer su temi ora attualissimi, allora quasi profetici: l’uscita dal nucleare; la tutela della biodiversità; la bioetica; i rischi della biotecnologia; lo scambio virtuoso tra remissione del debito e politiche di conservazione ecologica nei Paesi più poveri; l’istituzione di una Corte internazionale per l’ambiente, accessibile non solo agli Stati ma anche a cittadini e associazioni. Svolgeva larga parte di questo lavoro politico per il gruppo dei Verdi al Parlamento europeo. Eppure, quando ne intuì i rischi di sclerosi partitocratica, Langer (con Luigi Manconi, Gad Lerner e Mauro Paissan) invitò a sciogliere la Federazione dei Verdi italiani. In nome della biodegradabilità in politica (espressa nel motto «solve et coagula»), era convinto che l’assenza di un partito ecologista implicasse un di più di iniziative organizzate sul territorio, non un di meno. Fu, per questo, subissato di critiche.

5. Il fuoco, infine, riassume due tratti costitutivi della personalità di Langer. Innanzitutto, il rifiuto radicale della violenza – il fuoco delle armi – come pratica politica. Ventiduenne, era stato imputato di vilipendio alle istituzioni e istigazione a disobbedire alle leggi, per aver promosso a Bolzano, nel 50° anniversario della vittoria, una manifestazione sulla natura ed i costi della Grande Guerra. Quando nel 1976 si scioglie Lotta Continua, si prodigherà per evitare che molti dei suoi compagni di allora scelgano la lotta armata: avendo conosciuto gli attentati terroristici in Sudtirolo, ne coglieva meglio di altri i rischi di deriva. Dal 1982 collaborerà con il Movimento Nonviolento e la rivista Azione Nonviolenta, animando la campagna per l’obiezione fiscale alle spese militari e l’esperimento del Forum di Verona. Non era però un pacifista. Davanti all’immane mattanza etnica nella ex-Jugoslavia, Langer invita a distinguere tra aggredito e aggressore. Sostiene la creazione di un Tribunale penale internazionale ad hoc per i crimini commessi in quel conflitto. All’interno della sinistra, fu tra i pochi ad interrogarsi a fondo (e dolorosamente) sulla difesa legittima, sulla responsabilità per omissione di soccorso umanitario, sull’ingerenza internazionale che giustificava in nome dei diritti umani e delle emergenze ambientali. Arrivò a farsi promotore, nel giugno 1995, di un drammatico appello («L’Europa nasce o muore a Sarajevo») in cui, inascoltato, invocava un intervento di polizia internazionale in Bosnia, dove l’assedio alla sua capitale durava ormai da tre anni. Riteneva indispensabile fermare con mezzi militari la mano sterminatrice degli aggressori: posizione che gli costò, allora, isolamento e stigma.

6. Il fuoco evoca anche un lato straripante della biografia di Langer: la militanza politica e il suo modo di interpretarla. Un vero fuoco interiore che, alla fine, ne ha bruciato prematuramente l’esistenza. Alla «coscienza infelice» delle avanguardie che «credono di dover portare gli altri lì dove loro stessi pensano di essere arrivati», preferiva «la testimonianza individuale, l’obiezione di coscienza, quando credo di dover fare qualcosa che mi preme e che altri non vedono, sperando – piuttosto – che questo provochi effetti autonomi in altre persone». Alla fondamentale domanda «Chi è il mio prossimo?», la risposta di Langer è sempre stata: tutti. Senza mezze misure. Lo dimostra l’ubiquità del suo incessante viaggiare. Lo attesta il censimento delle tante aree politico-culturali in cui si è speso fino alla dissipazione di sé: il mondo cattolico e cristiano e di altre religioni; il movimento studentesco del ’68; la sinistra extra-parlamentare negli anni ’70; la “nuova sinistra” tra gli anni ’70-’80; il movimento eco-pacifista negli anni ’80-’90; la galassia delle associazioni ambientaliste; la sinistra storica; il Partito Radicale con le sue campagne referendarie; il Movimento nonviolento; finanche le aree “conservatrici” sensibili alla difesa del creato e della vita. L’osmosi tra sfera personale e sfera pubblica era la cifra di quegli anni. Ma un così illimitato slancio altruistico aveva anche una matrice religiosa – più specificamente francescana – propria della formazione giovanile di Langer, che ne forgerà la tempra di adulto. Per lui, non di militanza ma di apostolato è più corretto parlare. Della laicità in politica Langer ha incarnato la tolleranza, la curiosità, la gradualità nell’azione, la verifica empirica degli ideali, l’apertura al cambiamento, la pluralità degli strumenti di lotta ben oltre la forma organizzativa del partito. Mancherà di laicità, invece, per un profilo decisivo: l’accettazione dell’inevitabile scarto tra aspettative e risposte date, tra quanto si vuole raggiungere e i limiti (anche personali) nel riuscirci. Uno scacco che, per lui, si rivelerà tragicamente insostenibile.

7. Tutto finirà al Pian dei Giullari, nella tragica notte di trent’anni fa. Il suo gesto estremo è spiegato in un messaggio autografo, scritto in tedesco: «I pesi mi sono diventati davvero insostenibili, non ce la faccio più. Vi prego di perdonarmi tutti anche per questa mia dipartita. Un grazie a coloro che mi hanno aiutato ad andare avanti. Non rimane da parte mia alcuna amarezza nei confronti di coloro che hanno aggravato i miei problemi. “Venite a me, voi che siete stanchi ed oberati”. Anche nell’accettare questo invito mi manca la forza. Così me ne vado più disperato che mai. Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto». Quel gesto viene da lontano. Affonda nell’irrealizzato desiderio – condiviso con i più intimi – di prendere congedo da una vita politica totalizzante, vissuta senza risparmio per decenni, di cui tredici in istituzioni rappresentative. Qualche anno prima, il 21 ottobre 1992, scrivendo della tragica scomparsa della leader dei Grunen tedeschi, Petra Kelly, morta in un omicidio-suicidio con il suo compagno, Langer sembra parlare anche di sé: «Forse è troppo arduo essere individualmente […] dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere». Quel gesto cortocircuita tutto: il viaggiatore leggero che soccombe per i troppi pesi. Il fratello di tanti che se ne va in solitudine. Il teorico del “senso del limite” che muore del suo stesso fervore illimitato. Il fautore della necessità per il mondo di recuperare il suo naturale equilibrio che smarrisce il proprio, lasciandosi cadere dal filo. Quasi a suggellare il senso di un fallimento, pochi giorni dopo la sua morte si consumerà la strage di Srebrenica.

8. Riesce difficile tenere insieme l’esistenza di Langer e la sua fine. Davanti al suo congedo dalla vita, serve il massimo pudore: quello che si rintraccia, ad esempio, nell’intensa raccolta di poesie, articoli e testimonianze curata da Marco Boato (Le parole del commiato. Alexander Langer, dieci anni dopo, edizioni Verdi del Trentino, 2005). Ora come allora, resta il rimpianto di una prematura scomparsa. A distanza di trent’anni, le sue capacità di vedere lontano e di testimoniare il futuro servirebbero ancora, per tentare di riparare il mondo.

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